24 ORE PER IL SIGNORE 29-30 MARZO 2019
Rispondendo all’appello del Papa nella nostra zona pastorale abbiamo vissuto le 24 ore con il Signore, adorando il Santissimo Sacramento. Il tema dell’adorazione era: “Neppure io ti condanno”, tratto dal Vangelo di Giovanni 8,1-11:
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
L’adorazione è stata preceduta da tre incontri preparativi: 1° La forza devastante del peccato; 2° La Misericordia di Dio che è molto più grande del peccato; 3° L’abbraccio misericordioso di Dio che ci porta alla riconciliazione con Lui e con i fratelli.
Nell’adorazione hanno partecipato tutti i nostri gruppi parrocchiali, compresi i ragazzi del catechismo, come anche chi voleva incontrare il Signore presente nel Santissimo Sacramento. Durante l’adorazione c’era anche la possibilità di riconciliarsi con il Signore nel sacramento della confessione.
PAOLO TAKASHI NAGAI – testimone della fede in Dio
“Senza Dio sarei soltanto un servo inutile”
Takashi Nagai nacque in Giappone, a Izumi, non lontano da Hiroshima, nel 1908; nel 1920 all’età di dodici anni, come era tradizione in Giappone, venne mandato a studiare lontano da casa. Il padre era un medico e si dedicava appassionatamente alla sua professione tanto che Takashi decise di seguire le sue orme e di iscriversi alla facoltà di Medicina a Nagasaki. Frequentando l’università, si trovò immerso in una visione materialistica della vita e divenne ateo. Così descrisse quel periodo: “Quanto più approfondivo la conoscenza della struttura del corpo umano nel suo complesso e nei suoi dettagli tanto più rimanevo meravigliato della sua razionalità… non trovavo altro che materia… mi era difficile ammettere l’esistenza di quella cosa vaga che si chiama anima… mi convinsi che nella materia che compone gli organismi dell’individuo non c’è niente di divino…”.
Al terzo anno dell’università si ammala gravemente sua madre; in punto di morte l’ultimo sguardo della donna gli rivela che nell’uomo esiste un’anima: “…gli occhi di mia madre mi hanno confermato che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte… e tutto questo fu un’intuizione che mi portò alla convinzione: esiste veramente l’anima”.Nel frattempo Nagai aveva cominciato a leggere i Pensieri di Blaise Pascal rimanendo colpito dalla ragionevolezza che guidava le affermazioni del pensatore francese e di come un grande scienziato fosse arrivato a Dio. Sempre leggendo Pascal rimase fulminato da un altro pensiero: “Non soltanto conosciamo Dio unicamente per mezzo di Gesù Cristo, ma conosciamo noi stessi unicamente per mezzo di Gesù Cristo…”.
La domanda su chi fosse Gesù rimase nel suo cuore fino all’incontro con una famiglia cattolica a cui, come era consuetudine tra gli studenti, nell’ultimo periodo della frequenza all’università, Takashi chiese ospitalità. La famiglia Moriyama discendeva dal gruppo di quei primi cristiani giapponesi convertitesi nel XVI secolo in seguito all’incontro con san Francesco Saverio recatosi allora in missione in Giappone; era una famiglia semplice, dedita al lavoro nei campi e fervente nella fede. Takashi all’inizio non diede molta importanza al comportamento religioso della famiglia poiché era completamente preso dai suoi studi; infatti si laureò con il massimo dei voti ed ebbe molti riconoscimenti tanto che venne assunto come radiologo nel primo Istituto di radiologia dell’università di Nagasaki. Poi, un giorno, si ammalò Midori, la giovane figlia dei Moryama e Takashi le diagnosticò un’appendicite acuta; la portò in ospedale, venne eseguito immediatamente l’intervento e Midori fu salva. Da quel momento Midori, grata per la generosità del dottore, pregò incessantemente la Madonna per la conversione di Takashi. Questi fu anche chiamato alle armi durante la guerra contro la Cina e Midori non mancò un solo giorno di pregare per il dottore: “Vergine Santa, proteggi questo giovane e non permettere che sia ucciso da una pallottola durante la guerra. Fa’ che prima egli conosca Gesù”. Midori gli inviò anche un catechismo cattolico e il dottore cominciò a leggerlo e a sentirsi attratto dal Cristianesimo, ritrovandosi spesso a pensare a Gesù e a pregarlo. Tornato dalla guerra, Takashi decise di incontrare il parroco della cattedrale di Urakami a cui confidò: “Sono stato ateo convinto e ho sempre pensato che la religione fosse roba per gente debole e ignorante. Poi il cristianesimo… ho sempre pensato che fosse un prodotto occidentale, qualcosa che un giapponese deve decisamente rifiutare. Ma ora non penso più così…”. Takashi cominciò a frequentare la chiesa e nei momenti liberi dai suoi impegni in ospedale, amava restare in silenzio per pregare. Decise poi di chiedere il Battesimo; nel mese di giugno dell’anno 1934, a ventisei anni, ricevette il Santo Battesimo e prese il nome di Paolo, in ricordo di san Paolo Miki, il martire giapponese che morì crocifisso come Gesù il 5 febbraio 1597 proprio a Nagasaki. Intanto l’affetto tra Paolo Takashi e Midori si era tramutato in un sentimento più importante ed essi manifestarono il desiderio di sposarsi. Dal loro matrimonio nacquero due figli, un maschio e una femmina; nel 1937 il dottor Takashi era di nuovo sotto le armi in Cina, come medico del corpo sanitario militare. Rimase al fronte per tre anni ed ebbe modo di toccare con mano l’assurdità della guerra. Ma l’attendeva una guerra ben più feroce e distruttiva, infatti anche il Giappone partecipò alla seconda guerra mondiale a fianco della Germania e dell’Italia nel famoso patto “Asse Berlino-Roma-Tokio”. In Giappone si moltiplicarono i disagi e tutto cominciò a scarseggiare, anche negli ospedali. Paolo continuò senza sosta il suo lavoro senza risparmiarsi e, a motivo della carenza di lastre e pellicole, dovette ricorrere alle radioscopie: ciò comportò una grande e pericolosa dispersione di raggi nel suo corpo. Inevitabilmente la sua salute ne risentì fino a che, dopo una serie di analisi, scoprì di essere malato di leucemia. Quando lo disse alla moglie, questa gli rispose: “Prima di sposarci spesso dicevamo che la nostra vita l’avremmo spesa per la gloria di Dio: e la Gloria di Dio è la carità. Tu hai dato tutto per gli altri: con la tua vita hai seminato soltanto amore. Ti amo e ti amerò per questo”. La sera del 6 agosto 1945 si diffuse la notizia che una terribile e devastante bomba era stata sganciata su Hiroshima, ma ancora nessuno sapeva che genere di esplosivo fosse. Paolo Takashi e Midori decisero di portare i bambini in campagna, dalla nonna materna, per metterli al riparo dai bombardamenti; poi Midori tornò a casa e Paolo continuò il suo lavoro in ospedale. Il 9 agosto venne sganciata la bomba atomica anche su Nagasaki. In pochi secondi una città di 200.000 abitanti venne dimezzata e i superstiti si aggiravano per la città come larve, con la pelle ustionata. Il dottor Paolo Takashi al momento dell’esplosione si trovava in ospedale, così raccontò quei momenti: “…sembrava che una mano gigantesca mi avesse afferrato e scagliato a metri di distanza… schegge di vetro giravano intorno alla stanza come foglie nel turbine… assi, travi, persone ballavano nell’aria…” . Quando tutto tornò fermo fu soccorso da alcuni colleghi che gli prestarono le prime cure. Poi tutti insieme, nei giorni 10 e 11 agosto, si dedicarono alla cura dei feriti che riuscivano a raggiungere l’ospedale. Paolo, dopo aver dato ogni energia possibile, si recò a casa dalla moglie, ma una volta giunto sul posto a fatica riconobbe la sua abitazione: era tutto bruciato, identificò il soggiorno e a terra trovò alcuni resti umani; Midori probabilmente era morta mentre pregava, perché accanto a lei fu trovato fuso un pezzo della corona del rosario. Paolo raccolse in un secchio i resti della moglie e li portò al cimitero di Urakami dicendole: “…Midori, quel che mi resta lo spenderò per fare ancora del bene: in ricordo di te, per amore di te che mi hai portato all’amore di Cristo”. Infatti trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi alla carità e ad un’opera instancabile a favore della pace; contribuì anche alla ricostruzione della città mettendo a disposizione i guadagni che gli venivano dalla pubblicazione dei suoi libri. Scrisse anche un libro-testamento per i suoi figli : “…avete già perso vostra madre…la mia morte vi lascerà totalmente orfani… e piangerete. Sì, potrete sciogliervi in lacrime, purché il vostro pianto sia sempre davanti al Padre che è nei cieli. Noi sulla parola di Gesù crediamo che beati sono quelli che piangono perché saranno consolati. Lasciate dunque che le vostre lacrime scorrano alla sua presenza e Lui le asciugherà. Tutto ciò che ho da lasciarvi è una capanna… ma Gesù ci dice che i tesori sono le anime e non le cose. Sì, ciascuno di noi è un figlio del Padre Celeste. Questo dà a ciascuno di noi un immenso valore…”.Nella primavera del 1947 si mise definitivamente a letto; il 28 dicembre del 1949 venne dichiarato eroe nazionale e ricevette tantissimi riconoscimenti dal Giappone e dall’estero, a tutti lui rispondeva: “…La luna sarebbe buia senza la luce del sole. Il sole è Gesù; io rifletto soltanto un po’ della sua luce. Voi lo sapete che non mi illudo su me stesso. Senza Dio io sarei soltanto un servo inutile…”. La mattina del 30 aprile del 1951, essendosi aggravato, fu portato in ospedale dove morì affidandosi a Gesù, a Maria e a Giuseppe e chiedendo a chi lo assisteva di pregare con lui.