III° RADUNO DELLA COMUNITA’ PASTORALE 06.04.2019
In mattinata la nostra Comunità Pastorale si è riunita per spezzare la Parola di Dio. Il brano che ci conduceva era tratto dal Vangelo di Luca 10, 25-37:
In quel tempo un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesùe chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi locaricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». LECTIO Contestualizzazione del brano vv. 25.28 «Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» «Fa’ questo e vivrai»: tutto ruota intorno al “fare”: il rapporto con Dio, proprio come quello coi fratelli, non può limitarsi a una bella teoria. v. 26 «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?»: se è necessario “fare”, la Parola di Dio (la Legge) può fornire le indicazioni di cui abbiamo bisogno. Ma è anche necessario saper leggere la Parola, saper interpretare la volontà di Dio: certo non “strumentalizzare” o “adattare” la Parola alle nostre esigenze, facendo dire a Dio quel che Dio non ha voluto dire, ma calare la Parola nella concretezza della nostra esistenza. Credo che la Parola di Dio, che ascolto e che condivido con gli altri nella liturgia, nella catechesi…, sia un nutrimento essenziale per la mia vita di ogni giorno? So ascoltare la Parola e confrontarmi con essa nelle situazioni, nelle decisioni concrete? v. 29 «E chi è mio prossimo?»: il dottore della Legge si rende conto che Gesù gli chiede, forse, di percorrerla in un modo diverso da quello che si immagina, o che si è abituati a intendere. v. 30 «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti»: la situazione riproduce una realtà comune e condivisa: la legge dell’amore si può (o si deve) mettere in pratica appena si mette piede fuori casa… sovente sono le situazioni più banali, le persone con cui abbiamo quotidianamente a che fare, ad avere maggior bisogno di un gesto d’amore: è rischiosamente facile “vedere e passare oltre”. vv. 31-32 «Un sacerdote … un levita»: in primo luogo, entrambi dovrebbero essere abituati al contatto con Dio e con la sua Parola, e dovrebbero ben conoscere il comandamento dell’amore … In secondo luogo, pretendono di essere totalmente immersi nella relazione di preghiera con Dio, si illudono di non aver occhi che per lui… ma questo loro sguardo, che vorrebbe essere mistico e profondo, si rivela invece miope e cieco. Quanta attenzione do alle persone che incontro ogni giorno? So “vedere” le loro esigenze, le loro difficoltà? Il rapporto con Dio nella preghiera e nella liturgia mi aiuta a vivere le relazioni con gli altri, o sento queste due realtà come contrapposte? Quando vivo intensamente la preghiera, mi sento portato a fare qualcosa di più, ad avere atteggiamenti più positivi nei confronti dei fratelli? v. 33 «Un Samaritano»: un Samaritano dunque, incontra un Giudeo che ha bisogno di aiuto. Il suo cuore e la sua testa vanno in un’altra direzione: fa il primo passo, il passo della riconciliazione che, come Gesù stesso insegna, parte non da chi ha fatto il male, ma da chi lo ha subìto. Che cosa provo di fronte a un “diverso” che soffre? Come reagisco quando vedo che le persone con cui non ho un buon rapporto, o che mi hanno fatto del male, sono in difficoltà? «vide e ne ebbe compassione»: la “compassione” di cui Luca parla è la stessa di Dio Padre e di Gesù nei confronti dell’uomo bisognoso di premure. Se ogni essere umano è creato “a immagine e somiglianza” di Dio, qui la somiglianza tocca i suoi punti più profondi: ciò che rende davvero “umana” la natura umana è la capacità di commuoversi, di lasciarsi ferire dalle ferite altrui, senza rimanere insensibile. v. 34 «Gli si fece vicino»: i due non avevano fatto finta di niente, ma avevano addirittura cambiato il proprio percorso pur di non entrare in contatto con la sofferenza di quel malcapitato! Anche il Samaritano cambia il proprio itinerario,ma va nella direzione opposta ai due che lo avevano preceduto. «Si prese cura di lui»: ciò che il Samaritano incontra sulla sua strada non è un “imprevisto” anonimo, che va risolto nel modo più sbrigativo e indolore, ma è una persona “speciale”, nella direzione opposta ai due che lo avevano preceduto. «Si prese cura di lui»: ciò che il Samaritano incontra sulla sua strada non è un “imprevisto” anonimo, che va risolto nel modo più sbrigativo e indolore, ma è una persona “speciale”, un amico, anche se sconosciuto, un fratello. «Perché sei un essere speciale / Ed io avrò cura di te» (Battiato). v. 35 «Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore»: il Samaritano coinvolge nella sua azione anche l’albergatore. Da un lato, egli vuole “passare il testimone”, senza pretendere di essere l’unico uomo in grado di occuparsi del ferito; dall’altro, così facendo, esprime ancora una volta la propria buona attitudine verso i suoi simili, fidandosi dell’albergatore e della sua disponibilità. Le sofferenze degli altri mi toccano il cuore, o anche se faccio del bene mi sento in fondo indifferente, “superiore”? So immedesimarmi con gli altri, con i loro bisogni, o rimango col mio “pacchetto preconfezionato” di buone azioni? In quello che faccio, soprattutto negli impegni presi nella comunità a servizio degli altri, ritengo che il mio contributo sia unico e indispensabile? So “farmi da parte” e coinvolgere nel bene anche altre persone, fidandomi di loro? v. 36 «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo…?»: il “prossimo” in questa parabola è “colui che ama”, mentre nel dialogo col dottore della Legge era “colui che devo amare come me stesso”. Gesù rovescia la prospettiva, ma in fondo i due poli si attraggono. La legge dell’amore è una legge che mette in relazione due persone: tanto A è vicino a B quanto B è vicino ad A… l’essenziale è che questa vicinanza sia stretta. v. 37 «Chi ha avuto compassione di lui»: non basta “compiangere”, esprimere simbolicamente solidarietà con chi soffre:è indispensabile “fare”:sporcarsi le mani,perdere tempo,rinunciare ai propri interessi, ai propri diritti, alle proprie comodità e abitudini, investire risorse ed energie… Quanto tempo, quante energie dedico a costruire, faticosamente, il bene degli altri? Quali risorse, fra quelle che sento di avere, riesco a investire nel rapporto con i fratelli? Sintesi – attualizzazione La vita cristiana è vita “in relazione” con altri: con Dio, con i fratelli. Gesù rivela che essenziale è “essere prossimo degli altri”, in particolare di chi è più sfortunato e bisognoso. Altrimenti, anche le opere di carità diventano un semplice precetto da assolvere, un compito da eseguire senza coinvolgerci. “Amo” il prossimo, o “uso” il prossimo per sentirmi a posto con la mia coscienza? La scelta di un Samaritano come protagonista è importante: colui che viene etichettato come “diverso”, come “lontano”, come “avversario” è invece il personaggio positivo che Gesù ci invita a prendere come riferimento (…) in Gesù non c’è spazio per i muri che ci chiudono gli uni di fronte agli altri, non c’è distanza -personale, sociale, etnica, religiosa- che l’amore non sappia colmare. Chi non è come me è peggiore di me? E se fa il bene, se si comporta meglio di me? Come lo considero? Il rapporto stretto che c’è tra questo passo e l’incontro tra Gesù, Marta e Maria ci aiuta, infine, a “chiudere il cerchio” e a integrare in modo positivo e fecondo i due aspetti della legge dell’amore. Non si può «concepire un gesto di amore che sia indirizzato al prossimo al di fuori dell’amore divino, né l’adesione affettuosa a Dio al di fuori di una cornice comunitaria» (Bovon). Quanto conta per me l’amore verso Dio, e l’amore per il prossimo? C’è equilibrio nel mio cuore e nel mio modo concreto di vivere queste due relazioni, o posso cambiare qualcosa per armonizzarle sempre meglio? Quali scelte concrete di amore ho fatto all’inizio della Quaresima? Quali posso confermare, o riprendere, per vivere profondamente questo tempo straordinario di ritorno a Dio e ai fratelli nell’amore?