DON SECONDO POLLO 14.01.2018

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Oggi nella nostra parrocchia abbiamo celebrato la memoria di Don Secondo Pollo, durante la s. Messa in presenza delle Autorità civili, responsabili degli Alpini abbiamo portato solennemente le reliquie di don Pollo. Chi era son Secondo Pollo? Nel Martirologio Romano leggiamo: In località Dragali in Montenegro, beato Secondo Pollo, sacerdote di Vercelli, che, cappellano militare durante la seconda guerra mondiale, fu gravemente ferito mentre prestava soccorso ad un soldato moribondo e poco dopo, ormai esangue, rese lo spirito a Dio. Per gli alpini è il loro primo “santo”, per i cappellani militari è il primo loro modello elevato alla gloria degli altari, per la Chiesa tutta un autentico “martire della carità”. Comunque lo si voglia considerare, è in ogni caso doveroso far memoria di lui, prima che l’anno finisca, a 100 anni dalla nascita e a dieci dalla beatificazione, avvenuta a Vercelli il 23 maggio 1998. Nasce a Caresanablot (piccolo paese in provincia di Vercelli) il 2 gennaio 1908 e, da bambino, è allievo dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Forse è qui che matura la sua vocazione, ma per seguirla entra a 11 anni nel seminario diocesano. Sacerdote il 15 agosto 1931, si rivela ottimo professore ed illuminato direttore spirituale del seminario minore. Lo dipingono “educatore di fine intuizione pedagogica” e non a torto, se solo si considera quanto è amato e seguito dai giovani seminaristi. Passa poi al seminario maggiore, sempre in veste di insegnante, per altri quattro anni. Parallelamente viene nominato assistente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica, che rappresenta forse, del suo ministero, l’aspetto più fecondo anche se ingiustamente trascurato perché la fine eroica ha finito per esaltare quasi esclusivamente in lui la nobiltà del gesto estremo. Eppure, quelli trascorsi nell’Azione Cattolica, sono gli anni che lo mostrano alla diocesi vercellese come il “prete nuovo”: infervorato, vulcanico, dinamico, efficiente. È certamente figlio del suo tempo, legato all’ecclesiologia della “società perfetta”, animato da una prudenza antimodernista e da una spiritualità apostolica militante tipica dei gesuiti piemontesi, con un tocco piuttosto marcato di moralismo. Eppure, nel tranquillo panorama religioso della diocesi, porta un tocco di novità, rappresentata da una marcata apertura verso il mondo laicale in generale e quello giovanile in particolare, da una gioiosità dello spirito particolarmente gradita ai giovani, dall’entusiasmo per le cose che si possono organizzare insieme nelle parrocchie e anche al di là dei confini parrocchiali. Gli strumenti, di cui fa abbondante uso, sono quelli di cui tradizionalmente dispone l’Azione Cattolica negli Anni Trenta: le tante “Tregiorni”, le adorazioni mensili, le filodrammatiche giovanili; di suo ci mette le scorribande per le strade dove i giovani possono gridare la loro fede, i giochi rumorosi nei boschi, la via crucis in piazza predicata dai giovani e le loro visite ai bambini handicappati. Forse anche per questo è un prete “che disturba”: non capito da alcuni confratelli, ignorato da altri. Sono soprattutto i giovani (e, diventati adulti, lo testimoniano sotto giuramento al processo di beatificazione) a “prendere le misure” a questo prete un po’ fuori dai soliti schemi; sono loro a prendere nota dei suoi tempi di preghiera sempre più prolungati, della sua agenda sempre più fitta di impegni, della sua direzione spirituale che “spinge in alto”, delle sue ore sempre più frequentemente rubate al sonno per dedicarle allo studio e all’aggiornamento che i giovani non gli lasciano fare di giorno. Per i giovani dà tutto fino al punto di seguirli, quando nel 1940 partono per il fronte: una scelta che forse potrebbe evitare, vista la grave malformazione all’occhio sinistro. Anche come cappellano militare però “funziona bene”:graduati e semplici soldati ricordano il suo ottimismo, il suo costante sorriso, le sue prediche accessibili a tutti con le quali sprona i giovani a diventare santi anche in grigioverde o con le “stellette”. Arruolato nel battaglione alpino “Val Ghisone” che opera prima sul fronte occidentale e poi in Montenegro, qui il 26 dicembre 1941, durante la battaglia di Dragali, si trova al centro di una sparatoria .che miete vittime da una parte e dall’altra. Non si risparmia, non ha paura e, accorrendo per portare conforto ad un ferito, viene colpito da una pallottola che gli recide l’arteria femorale. Muore dissanguato, come uno che ha donato tutto, fino all’ultima goccia. Lo Stato gli assegna subito la medaglia d’argento al valor militare, un po’ più di tempo impiega la Chiesa a concedergli l’aureola, ma alla fine anche per don Secondo Pollo è arrivato il momento della glorificazione terrena.

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