La Storia della Chiesa Parrocchiale
(a cura di Mario Ogliaro)
1 – Le origini
2 – La ricostruzione
3 – Separazione delle chiese di Lamporo, San Grisante, Santa Maria e San Silvestro
4 – Trasformazione da pievania in prepositura
5 – Aggregazione della parrocchia ai padri di San Filippo Neri o dell’Oratorio
6 – Il ritorno del clero secolare
1 – Le origini
Le origini della chiesa parrocchiale di Crescentino, sotto il titolo della Beata Vergine Assunta, risalgono con ogni probabilità al 1242, epoca della fondazione del borgo da parte del comune di Vercelli. Infatti, in documenti di qualche decennio dopo, la chiesa risulta già esistente ed operante nel centro del borgo. Ciò dimostra come nella progettazione dei borghifranchi, oltre ai forni e ai mulini, fossero previsti anche gli edifici destinati al culto. La dedicazione alla Madonna è sicuramente dovuta per gemmazione della pieve di Santa Maria del Palazzo, situata fuori dal perimetro urbano, la quale decadde dalla sua funzione battesimale proprio sul finire del XIII secolo. Pertanto la chiesa romanica di San Pietro, presso l’attuale cimitero, non fu mai parrocchiale, ma servì unicamente all’antico villaggio scomparso di «Casalis Archoati», che sorgeva nelle immediate adiacenze.
Il primitivo edificio religioso occupava uno spazio notevolmente inferiore dell’attuale, in quanto la piazza antistante, che fino al 1600 era dedicata ai conti Tizzoni, si allargava verso il sagrato, dove, sul lato del cortile interno era situato un piccolo cimitero. La contrada dei Vianzini (ora via Tino Dappiano) costituiva il limite estremo della porta Pareto, da cui iniziava la strada per Livorno, a ridosso delle fortificazioni. Con l’avvento del periodo signorile dei Tizzoni (1315-1613), la chiesa assunse spesso un ruolo, oltre che religioso, anche d’incontro della popolazione per affrontare problemi d’interesse generale, o per sottoscrivere documenti sull’amministrazione civile del paese, soprattutto dopo il 1529, in seguito ai fatti che portarono alla soppressione dell’intera famiglia nobiliare. Nel 1486, la contessa Giovanna Tizzoni, vedova di Riccardo III, faceva erigere nell’interno della chiesa una cappella con iuspatronato gentilizio trasmissibile agli eredi, dedicata a San Pietro, che è l’unica di cui abbiamo notizia prima che l’edificio cadesse in rovina. I beni di tale cappella furono poi estinti nel 1801 dal chierico Michelangelo Rolando di Torino, per conto degli eredi dei Tizzoni. Il capitale consisteva in 13 giornate di terra, situate nel territorio del comune di Lamporo, del valore complessivo di lire 3500 circa dell’epoca.
.
.
2 – La ricostruzione
Verso il 1546 il comune, quale proprietario della chiesa, ne iniziò la ricostruzione, col rifacimento delle parti danneggiate durante l’occupazione francese e spagnola, soprattutto del tetto completamente caduto. La consacrazione fu fatta il 14 aprile 1551 dal vescovo Ubertino Serrazio, come ancora oggi ricorda una lapide posta all’ingresso dell’edificio stesso. Ma il completamento definitivo, con l’aggiunta del coro, fu portato a termine solo dopo il 1580 dal capomastro torinese Antonio Bonolo. Il rifacimento avvenne seguendo lo stesso modello della pianta preesistente, ampliata solamente dietro il presbiterio, in modo da inserire l’abside. Purtroppo di tale edificio originario non si conserva più alcuna traccia, né peraltro è possibile conoscere la forma architettonica, a causa dei successivi ampliamenti.
Dalla relazione di visita pastorale del vescovo Gaetano Costa dell’agosto 1773, la struttura interna risultava già formata da tre navate e sette altari minori, mentre la parte esterna non appariva «in retta linea delle muraglie maestre laterali (…) verso mezzanotte vi resta una casa propria della congregazione suddetta di San Filippo, qual casa riceve nel sedime parte dell’acqua piovana della detta chiesa (…); per la costruzione della qual (casa) la congregazione ha ceduto buonamente parte del sito di detta casa. Il terreno che circonda la chiesa parrocchiale è proprio della medema per l’estensione delle muraglie (…) a lato un piccolo coro, verso mezzo giorno vi è un uscio che dà l’ingresso nella piccola antica casa parrocchiale e successivamente nella fabbrica nuova di detta congregazione di San Filippo; dall’altro lato del coro vi è un altro uscio che introduce per una scaletta nell’Oratorio per l’orazione con i secolari, secondo l’istituto di san Filippo e successivamente l’istesso uscio, per un piccol andato, dà l’ingresso nel campanile e nella piccola sacrestia». L’ampliamento avvenne dunque nella prima metà del Settecento, quando, a spese del comune e dei parrocchiani «fu rifatto ed alzato il volto inferiormente del presbiterio a motivo che era in prossima rovina». In quell’occasione furono pure alzate le finestre, riparati alcuni pilastri e ricostruiti tutti i muri perimetrali rivolti verso la piazza.
.
.
3 – Separazione delle chiese di Lamporo, San Grisante, Santa Maria e San Silvestro
Le chiese di Lamporo e San Grisante, già unite alla parrocchia matrice di Crescentino, furono separate rispettivamente nel 1571 e 1642, mentre quella di Santa Maria fu eretta in parrocchia autonoma solamente nel 1921 unitamente a quella di San Silvestro. Il distacco della chiesa di San Bernardo di Lamporo fu causa di lunghi contrasti che generarono una lite, acuitasi anche dopo il 1694, allorché il borgo di Lamporo fu staccato dal comune di Crescentino per essere infeudato a Carlo Giacinto Pastoris. La controversia si compose nel 1822, quando fu firmata una transazione tra i due parroci.
.
.
4- Trasformazione da pievania in prepositura
Il 6 ottobre 1594, in seguito alla prima visita pastorale del vescovo di Vercelli dopo il concilio di Trento, la chiesa fu eretta in parrocchia e, da tale epoca, essendo entrata in vigore la tenuta obbligatoria dello «status animarum», cioè dei registri dei battesimi, matrimoni e morti, conosciamo più dettagliatamente la serie dei parroci che si susseguirono nella cura delle anime. Sono di questo periodo la formazione di alcune associazioni religiose come la compagnia del Rosario (1598), del Corpus Domini o SS.Sacramento (1607). Nel 1645 San Vincenzo de’ Paoli inviava a Crescentino il sacerdote Lamberto per fare opera d’apostolato. Più tardi (1662), in onore del santo missionario fu fondata la compagnia delle Umiliate o Dame di Carità, che tanta parte ebbero nell’assistenza agli infermi dell’ospedale, lasciando mirabili esempi di carità cristiana durante l’assedio posto dai francesi al forte di Verrua nel 1704. Un’altra compagnia religiosa detta della Dottrina Cristiana fu istituita nel 1665 dal sacerdote De Mortier, che si prefiggeva di istruire i fanciulli alla conoscenza del catechismo cattolico e prepararli a ricevere i sacramenti.
.
.
5 – Aggregazione della parrocchia ai padri di San Filippo Neri o dell’Oratorio
Nella seconda metà del secolo XVII fu fondata a Crescentino una congregazione di padri filippini, detti anche dell’oratorio. Essi, seguendo l’esempio del loro fondatore – San Filippo Neri – si dedicarono ad opere di carità, pur non seguendo la regola tradizionale degli altri ordini e senza prestare voto d’obbedienza e di povertà. Dopo qualche anno, chiesero di subentrare nella guida della parrocchia, ma contro questo disegno si sollevò la maggior parte della popolazione. Benché la congregazione avesse sollecitato ed ottenuto dal papa la bolla d’approvazione, la questione fu portata ai voti dei crescentinesi, che in un referendum, respinsero la proposta quasi all’unanimità. Nonostante la contraria volontà popolare, il parroco dell’epoca Antonio Gal (1642-1704), discendente da un’illustre famiglia di giuristi, con atto del 29 maggio 1692 fu costretto a rimettere la prepositura nelle mani del papa, il quale, con breve del 1694, unì la parrocchia ai filippini che la tennero fino al 1802, epoca in cui furono soppressi gli ordini religiosi regolari dal noto editto napoleonico.
Il convento filippino (oggi di proprietà del comune) fu realizzato agli inizi del Settecento, ma la parte superiore si formò solamente qualche decennio più tardi. Attualmente il piano terra è adibito a casa parrocchiale, nel secondo e terzo piano si trova l’archivio storico del comune, collocato nelle celle conventuali, opportunamente restaurate. Nel 1715 il sacerdote Francesco Pettenati faceva erigere nella parrocchiale un altare dedicato a San Filippo Neri, sormontato da un quadro raffigurante il Santo in contemplazione. A detto altare, che nel 1773 ottenne uno speciale privilegio dal papa Clemente XIV, fu successivamente legata una rendita destinata alle funzioni sacre.
Dopo la guerra relativa all’assedio di Verrua del 1704, che trasformò Crescentino in un enorme campo fortificato, il comune e i parrocchiani decisero la riparazione della chiesa, gravemente danneggiata. Il capomastro torinese Bernardassi, incaricato di condurre una perizia tecnica sulla condizione dello stabile, stimò che gli interventi da eseguirsi ammontavano ad oltre 50 mila lire piemontesi. Una spesa ingente, se si considera anche il pesante onere sopportato dalla popolazione durante le operazioni militari. Tuttavia, grazie ad una pubblica sottoscrizione, il comune diede inizio alle opere di restauro, che si susseguirono pressoché fino al 1764, anno in cui fu riparata anche la torre e il palazzo civico. Presero parte ai lavori diversi mastri da muro locali, come Crescentino Serra, Carlo Mosca, Carlo Barbero, Giuseppe Sesia, Michele Brusa, Pietro Meliga e Martino Moschetto. La pianta della chiesa fu ridisegnata utilizzando tutto lo spazio fin sul filo dei portici, in modo da poter alzare «tutta la volta inferiore del presbiterio, a motivo che era di prossima rovina et con l’occasione furono alzate le finestre per la maggior luce (…) et intiera volta fu rinnovata». Per l’ampliamento dell’edificio fu occupata una parte della piazza antistante, restringendo anche lo spazio del vecchio cimitero urbano posto sul lato sinistro, già abbandonato fin dal 1710, quando fu istituita una nuova area per le sepolture in fondo alla contrada degli Scaramanni (oggi via Francesco Bena), dove fu poi edificata la chiesa della Risurrezione.
Anticamente i defunti venivano tumulati nell’interno della chiesa, nell’area presbiterale o sotto gli altari laterali e, dopo il 1551, anche nel convento di San Francesco che era situato nell’angolo fra le attuali vie Tino Dappiano e Dalmazia. Con l’incremento demografico, ogni quattro o cinque anni, per carenza di spazio, dovevano traslarsi le spoglie mortali in fosse comuni. Ricordiamo che, anteriormente ai provvedimenti legislativi napoleonici, il servizio cimiteriale rientrava nella giurisdizione ecclesiastica, in quanto esso costituiva un complemento inscindibile della parrocchia. Si spiega così l’ubicazione delle tombe accanto e dentro la chiesa stessa e come ciò corrispondesse alle concezioni spirituali dei fedeli.
Nel 1723 fu costruito l’altar maggiore a cui fu incastonata una grande pala raffigurante l’Assunzione, dipinta nel 1743 dal pittore Claudio Francesco Beaumont, a spese della compagnia del SS.Sacramento. Nel 1762, con solenni festeggiamenti, fu celebrato in presenza del vescovo Pietro Solaro il primo centenario della traslazione delle reliquie di San Crescentino, provenienti dalle catacombe di Santa Ciriaca in Roma. Nel 1775 fu rifatto tutto l’impianto dell’organo su disegno dello scultore Ludovico Rampone, mediante la spesa di 502 lire, mentre quello attuale, di costruzione ottocentesca, è dei fratelli Ramasco d’Andorno.
Sulla facciata della chiesa, il celebre pittore e architetto Ferdinando Bonsignore, nato a Torino nel 1760 da famiglia oriunda dalla Liguria, aveva predisposto un disegno per la realizzazione di un peristilio a sei colonne, quattro all’ingresso della gradinata e due nell’interno del porticato. Tale disegno fatto incidere dal crescentinese cav. Gaspare Degregori, non fu realizzato a causa degli eventi che si susseguirono durante il periodo napoleonico.
.
.
6 – Il ritorno del clero secolare
Con il noto decreto napoleonico del 1802 di scioglimento delle corporazioni religiose, le congregazioni dei padri filippini così come quella dei francescani furono soppresse e l’8 aprile dell’anno successivo i relativi beni furono messi all’incanto. Si disperse così un notevole patrimonio storico ed artistico finito in mano a privati senza scrupoli. Dall’inventario della biblioteca, esistente nel convento di San Francesco, risultano ben 1516 tra volumi e manoscritti, con oltre 181 documenti del periodo dal 1478 al 1782, fra i quali le memorie del beato Angelo Carletti da Chivasso e del primo convento di Santa Maria delle Grazie fuori dalle mura. Il 16 aprile 1806 il parroco Andrea Delevis rinunciò alla parrocchia, la cui amministrazione provvisoria fu assunta da Giovanni Maria Spada, parroco di Cigliano a nome dell’economato della diocesi, fino alla nomina di don Giuseppe Zappelloni nel 1808.
La soppressione degli ordini regolari che a Crescentino colpì drasticamente i conventi e le confraternite, mentre da una parte aveva penalizzato le vecchie strutture portanti della religiosità, dall’altra aveva rafforzato la parrocchia, cioè il veicolo istituzionale in cui tradizionalmente si era venuta realizzando la devozione dei fedeli. Da quel cumulo di rovine emergeva la tendenza volta ad affermare pienamente la suprema e diretta autorità del vescovo sul clero secolare, ponendo le premesse per realizzare quegli elementi di ascesi alla pratica sacerdotale, con la consapevolezza di attendere non più ad un potere sociale, ma ad un’autentica chiamata all’annuncio evangelico e al servizio verso i poveri.
Il comune si rese aggiudicatario della costruzione posta davanti all’oratorio (ora sito dell’ufficio poste e telegrafi), concessa poi per metà al parroco ad uso abitativo e l’altra metà destinata a caserma della brigata della gendarmeria. Successivamente, tale casa parrocchiale fu utilizzata per le scuole elementari. L’antico presbiterio attiguo, caduto in mano a privati, nel 1821 fu acquistato dal comune per poter allargare la sede retrostante la chiesa.
Durante il secolo XIX alla parrocchiale furono apportate notevoli migliorie nell’interno. In particolare, degno di segnalazione è l’ampliamente del 1906 con la demolizione e ricostruzione dell’antico campanile su progetto dell’ingegner Canetti di Vercelli e il restauro generale del 1927 eseguito dall’ingegner Giovanni Silvestrini di Torino. Fra gli ultimi interventi ricordiamo la sostituzione di due porte laterali (1966), il nuovo pavimento del coro (1969), l’elettrificazione delle campane, la completa tinteggiatura dell’interno, eseguita dal decoratore Renzo Monateri, con restauro dei confessionali e dei quadretti della Via Crucis.